Cairo 20 ottobre 2009
Il discorso di Daniela serata conclusiva del Festival Internazionale di Teatro Sperimentale
Lamine Dabo(Orpheus) e Daniela Giordano (le ondine)
Uno spettacolo costruito con architetture di molti linguaggi e saperi: la scrittura poetica si scioglie e prende vita nella danza, nell’emozione della voce che duetta con il djembè, e il griot incalza con il canto in wolof, la lucente metafora dell’ascesa di Orpheus alla piena consapevolezza. Torno a visitare il mito di Orfeo, nell’unica realtà contemporanea a me nota e vicina, l’Africa, nella quale mi sembra possibile accedere al segreto motore dell’universo, l’Amore. L’Amore l’unico stimolo che spinge la conoscenza oltre ai limiti materici, oltre il visibile e misurabile, unica realtà che unisce e non divide, l’unica esperienza che permette di percepire la vera entità di tutti i fenomeni , perché corpo e mente si fondono in un unico suono con l’Universo. Orpheus: nomen omen, un destino cucito addosso dall’imposizione di un nome alla nascita, un nome lontano, un destino che prende forma e sostanza, lo spettro della morte che incalza, la straordinaria capacità degli esseri umani di trasformare l’ostacolo nel quale si inciampa nel gradino sul quale si sale e ci si eleva, il viaggio di iniziazione al dolore della conoscenza che sublima nella pienezza del sé/altro da sé, shiki-shin-funi, non dualità di anima e corpo, spirito e materia armonizzati nell’UNO che si fa verbo, suono, vibrazione e movimento/corpo.
In questi anni abbiamo sempre cercato nel nostro viaggio di conoscere e approfondire uno o più aspetti delle culture dell’Africa contemporanea, e ci siamo sempre sorpresi di quanto ogni punto di vista crei stupore e meraviglia se solo lo si ascolta, e di quanto questo atteggiamento alimenti lo spirito di ricerca e la crescita individuale e collettiva. Porsi nella giusta predisposizione all’ascolto non è così istintivo, è un percorso di apprendimento complesso e articolato che spegne la presunzione del singolo e apre la porta del dialogo.
Dialogo, vituperata parola, offesa nella quotidiana esperienza di ognuno dal subire e replicare a un agire fatto di violenza, prevaricazione e ingiustizia che, poi, è la madre di tutti i mali. Eppure esiste il rimedio, esiste il raccogliere il punto di vista dell’altro, esiste la capacità di imparare il rispetto e la condivisione. Ogni processo di apprendimento e di acquisizione di nuova consapevolezza si struttura in forma di dialogo, perché è utile discutere le idee contrapposte, ma dobbiamo imparare ad ascoltare. È l’ottava edizione per Festad’Africa Festival, un’edizione importante, alla quale giunge il riconoscimento del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, per il ruolo svolto nella “promozione della cultura e come utile occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi del continente africano, anche allo scopo di sostenerne il difficile cammino verso una più ampia affermazione dei diritti e della dignità delle persone.” Non c’è nulla di scontato nel susseguirsi di questi appuntamenti, ogni anno si riparte, ogni anno è un nuovo inizio, con una nuova determinazione, sempre maggiore, a realizzare il progetto. Dobbiamo credere che la rivoluzione umana, il nostro futuro, si compia nelle scelte del quotidiano che ognuno di noi fa, e l’attenzione sempre maggiore, il sempre rinnovato interesse e la partecipazione, che ogni singolo individuo, diventato il pubblico di Festad’Africa , ha dato, ha determinato la crescita di questa finestra spalancata sulle questioni dell’Uomo. Per questo ringrazio la Provincia di Roma, la Regione Lazio, l’Assessorato alla Cultura di Roma, che continuano a credere e a investire per la realizzazione di questo programma. Secondo Gandhi, gli strumenti necessari a migliorare la struttura sociale sono l’educazione e la cultura. Bisognerebbe ascoltare i maestri e mettere in pratica i loro insegnamenti.
Un proverbio bantu dice umuntu ngumuntu ngabantu, si diventa persone attraverso altre persone, e una luce di pensiero e azione della non-violenza, il presidente Nelson Mandela affermò che: “il terreno condiviso è più grande e più solido delle differenze che ci dividono, la reciproca interdipendenza degli esseri umani, è inevitabile”.
Il dialogo è stata l’arma vincente delle grandi rivoluzioni non violente di Gandhi e Mandela.
Una strada coraggiosa che sembra aver intrapreso anche il nuovo presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, che con semplicità ha stupito il mondo intero a Il Cairo, con le sue parole: “Dobbiamo promuovere uno sforzo sostenuto nel tempo per ascoltarci, per imparare l’uno dall’altro, per rispettarci, per cercare un terreno comune di intesa. Il Sacro Corano dice: “Siate consapevoli di Dio e dite sempre la verità”. Questo è quanto cercherò di fare: dire la verità nel miglior modo possibile, con un atteggiamento umile per l’importante compito che devo affrontare, fermamente convinto che gli interessi che condividiamo in quanto appartenenti a un unico genere umano siano molto più potenti ed efficaci delle forze che ci allontanano in direzioni opposte.”
Daisaku Ikeda, umanista e filosofo, nella proposta d Pace 2009 presentata all’ONU sostiene che per risolvere i suoi problemi l’umanità debba agire in base a una visione condivisa sulle questioni principali – ambiente, sviluppo, disarmo nucleare – che utilizzi “la competizione umanitaria, come strumento per creare una comunità globale capace di coesistere pacificamente. Solo dal dialogo può nascere il nuovo.”
Il titolo che il festival si è dato quest’anno raccoglie e rilancia la sfida: Dialogo tra le arti, dialogo in arte e dialogo come strumento di relazione pacifica tra genti.
Dialogo, come capacità degli esseri umani di armonizzare differenze e di relazionarsi pacificamente tra di loro, acquisendo nuovi e differenti punti di vista.
Sappiamo che in fondo è un gioco, ma come tutti i bambini già sanno, non c’è niente di più serio del giocare, e se si vuole vincere lo si deve fare per davvero. Fino in fondo.
Daniela Giordano
direttore artistico
Aula Magna
Sapienza
Università di Roma
Piazzale Aldo Moro 5