e ora ha voce per raccontare
Intervengono
http://www.vogue.it/vogue-black/the-black-blog/2011/10/daniela-giordano
di Cristina Ali Farah
Attrice di teatro, cinema e televisione, regista, autrice, Daniela Giordano è l’ideatrice e direttrice artistica di Festa d’Africa, Festival Internazionale delle Culture dell’Africa Contemporanea. Orpheus, spettacolo da lei scritto, diretto e interpretato, con danza e coreografie di Lamine Dabo e musiche composte ed eseguite dal vivo da Ismaila Mbaye e Gijbril Gningue, è in scena a Roma in questi giorni.
Qual è il tuo rapporto con il mito di Orfeo?
“Il mito di Orfeo ha attraversato tutta la mia vita, mi ha sempre affascinata da quando ero bambina. L’amore che ha il potere di sconfiggere la morte, la musica e quindi l’arte che avvicinano l’essere umano agli dei, mi facevano fantasticare di assoluto. Poi vidi in televisione l’Orfeo negro di Marcel Camus. Fui stregata dalla magia e dall’ambientazione della storia nel carnevale di Rio de Janeiro, l’amore, il dolore, la ricerca, la morte, il caos, dove figure infernali, (simbolicamente maschere di un carnevale) si mescolavano a esseri umani”.
Il tuo processo creativo, la riscrittura del mito, come è avvenuta?
“Scrissi Orpheus nel 2004, in una settimana credo o in una notte. Fu un gesto liberatorio. Dovevo riflettere sull’amore, la morte e sulla natura del divino. Vicende personali mi stavano lacerando, la morte di mio padre e la separazione dal mio compagno, avevo bisogno di mettere ordine nei miei sentimenti. Orpheus mi è venuto incontro per la via. Cosa non aveva capito l’eroe del mito? Lui che, col suo canto e il suo dolore, aveva ricevuto un dono unico dagli dei, quello di scendere vivo nell’Ade per riprendersi la vita della amata, la sua metà”.
Cosa è che rende nero questo Orfeo?
“L’Africa in tutti questi anni, di teatro, di scambi, di amici, di viaggi, di studi, mi ha insegnato molte cose. La pazienza, il sorriso, l’ascolto, il rapporto privilegiato con il dolore. Sono stati i luoghi della terra nei quali ho percepito la natura del divino. Per questo Orpheus è nato africano. Non avevo altro luogo dove poter immaginare un essere umano in marcia per trovare l’amore perduto, che poi coincide con il ritrovamento del sé, mentre la natura gli parla e si trasforma”.
Nello spazio del palco sei in continua relazione con i musicisti e il danzatore. Mi dici qualcosa su questo? Come siete riusciti a combinare i movimenti della danza con le parole e la musica?
“La ricerca espressiva nelle mie creazioni in teatro, si è sempre orientata alla contaminazione tra le arti e i generi. Il ritmo è tutto. Parto sempre da lì, per questo spesso i miei testi hanno una metrica. Con tutti gli artisti coinvolti nel progetto, ci conosciamo da tanti anni e abbiamo lavorato insieme molte volte, grazie a Festa d’Africa Festival. Chiesi a Lamine Dabo se se la sentiva di tornare a danzare per me: è uno dei migliori danzatori che abbia mai visto, eppure ha rischiato di perdere le gambe in un incidente, i medici gli avevano diagnosticato l’impossibilità a tornare a camminare, figuriamoci a ballare. Conosceva il viaggio all’inferno, lui c’era stato e poteva raccontare il corpo di Orpheus. Ismaila Mbaye e Djibril Gningue sono due sciamani, si divertono a suonare ma non perdono mai il contatto con ciò che li circonda, sono in perenne comunione con il cosmo e tutti i suoi abitanti. Formata compagnia ci siamo messi all’opera, ma potrei dire meglio, ci siamo messi in totale ascolto uno dell’altro. Così è nato questo Orpheus, dai molti linguaggi visivi e sonori, creando nuovi equilibri e nuove armonie policrome. Ogni volta che ci ritroviamo su un palco a raccontare Orpheus si ricrea questa magia”.
Cristina Ali Farah
Pubblicato: 31 ottobre 2011
L’OPINIONE delle LIbertà- quotidiano- Società E Cultura-16 Settembre 2011 –
Al Teatro di palazzo Santa Chiara, a due passi dal Pantheon, rivivono i miti classici, nelle esotiche atmosfere delle terre d’Africa. Daniela Giordano, attrice autrice e regista dello spettacolo “Orpheus”, nonché direttrice del Festa d’Africa Festival (“esportato” in tutto il mondo, con ampia soddisfazione delle etnie e delle razze più disparate) ha danzato, recitato e qualche volta cantato il mito rivisitato di Orfeo, il cantore dal volto umano che incantava e intratteneva gli dei con la sua voce. Certo, la “torsione” di scopo è stata da subito evidente, con Orfeo che si perde lungo la strada del ritorno, trasportandola in una barca “kajak”, la sua sposa fresca di nozze e, mentre il volgo agita il venticello della calunnia, parlando di uxoricidio, lui prepara la sua fede incrollabile, per tracciare il suo cammino discendente, verso un luogo da sempre definito come quello del non ritorno. Ad accompagnarlo è la luce della sua fede, cangiante come un’aurora boreale, in cui si intrecciano gli odori e gli umori della cosa misteriosa, miscelati dalla voce della Giordano, che estrae da un paravento luminoso e trasparente lo spirito del tempo, impersonato da un ballerino africano la cui storia personale è già di per sé un ritorno dall’Ade, in cui il moto di avvitamento verso l’alto, fuori dal cono fumante del vulcano, è frutto della pura volontà e della follia dell’umano osare oltre ogni proprio limite. Questo, in fondo, è anche il messaggio primordiale di Orfeo, che si scontra con la sua anima maschile che cerca fuori di se stessa il segreto dell’amore puro, che sta invece tutto chiuso al suo interno, come solo le donne sanno bene. E così la luce guizza su per l’erte scale, passo dopo passo, follia dopo follia. La danza si fa animale, con ombre cinesi e volumi che impersonano la dea della caccia, con le membra protese verso l’odore della preda. A volte, il corpo scuro semplicemente si tende elasticamente, in una danza nuziale avvolgente e struggente, fino alla totale compenetrazione, nel finale, tra la voce narrante femminile e l’essere duale maschile. L’aria della scena tutt’intorno gronda sensualità, come nell’attimo in cui lo sposalizio si consuma tra lenzuola immacolate, che debbono essere, una volta contaminate dal sangue virginale, mostrate al drago della curiosità morbosa, pronto a scatenare, in caso di una delusione, tutta la sua lussuria verbale, a sublimazione di un atto tanto desiderato quanto proibito a chiunque, tranne che al legittimo sposo. Ed ecco che, nel racconto della Giordano, Orfeo è condotto a rivivere, per meglio capire se stesso, i giochi d’infanzia, l’educazione paterna racchiusa in una sfera che rotola educata tra la mano del ballerino, sempre disteso come una corda ben stirata di violino, e quella della Giordano che, girando le spalle al pubblico, lascia grande spazio ai gesti, alla musica, ai suoni, davvero straordinari, di strumenti a noi del tutto sconosciuti, manipolati da un suonatore di tamburi che sviluppa in un quieto trance le sue percussioni ritmate. La Giordano, però, si rifiuta di assecondare il mito (laddove gli dei restituiscono Euridice a Orfeo e la lasciano andare con lui, a patto che l’eroe non si giri mai a guardarla, prima di aver abbandonato il territorio dell’Ade. Orfeo non resiste, si gira e la perde per l’eternità), descrivendo la gioia del marito e dei suoi parenti, quando Euridice giace nel letto nuziale come ogni sposa che si rispetti. La cosa più straordinaria, però, è che Orfheus, recitato in italiano, sia stato portato ai quattro angoli del mondo e “compreso” da tutti, qualunque fosse la loro lingua d’origine. Già, perché c’è qualcosa d’altro che crea l’universalità nelle cose e che trascende le parole, i mille vocabolari della terra. I misteri d’Africa, le armonie magiche delle voci, dei tamburi e della danza rendono visibile il misterioso, facendo dell’alieno un autoctono, in base ad un codice tutto da scoprire e che il teatro, i dialoghi, le tonalità e i gesti della Giordano e dei suoi attori/artisti ripercorrono fedelmente, senza trascurare alcun nesso tra le cose e i significati. Davvero una formidabile rivisitazione del classico, che tratta il teatro borghese come il serpente della mela nel paradiso terrestre!
spettacolo scritto diretto e interpretato da Daniela Giordano con la danza e le coreografie del danzatore e coreografo senegale Lamine Dabo e le musiche composte ed eseguite dal vivo da Ismaila Mbaye e Gijbril Gningue. Continua a leggere ›
ORPHEUS
Dal 6 all’11 settembre torna sulla scena romana, dopo due anni di successi internazionali, l’Orpheus di Daniela Giordano, ultimo appuntamento nel ricco cartellone del festival musicale del Teatro Palazzo Santa Chiara.
Uno spettacolo di musica, parola e movimento che partendo dal mito classico, realizza, nella scrittura e nella messa in scena di Daniela Giordano, una sublime sintesi di linguaggi visivi e sonori.
Una riflessione sul contemporaneo e sulla realtà multietnica che ha trasformato la nostra società. Lo spettacolo unisce e utilizza differenti codici culturali dall’ Europa all’Africa, dalla poesia al teatro, dalla musica alla danza, sottolineando le convergenze che mettono in evidenza l’interdipendenza tra diverse culture.
Orpheus propone un nuovo linguaggio teatrale che coniuga e armonizza suggestioni e saperi della cultura europea e della cultura africana, attraverso la danza, il teatro e la musica.
Insieme a Daniela Giordano in scena: il danzatore senegalese Lamine Dabo con le musiche dal vivo eseguite da Ismaila Mbaye, djembè e tama, e Djibril Gningue , canto e kora.
Lo spettacolo è prodotto da CRTscenamadre e Festad’AfricaFestival Internazionale delle culture dell’Africa Contemporanea 2011- X edizione.
Dice la Giordano su Orpheus: “ E’ uno spettacolo sull’Amore. Orpheus perde la sua donna perché ha perso l’amore. Ma lei conosce il suo smarrimento,e lo guiderà fino a ritrovare se stesso e l’amore perduto. Una bella favola contemporanea, insomma, con un lieto fine. La musica è fondamentale nel mio teatro, così come l’immagine, la parola e il movimento. Gli ultimi 15 anni della mia carriera artistica si sono molto legati all’Africa. Realizzare questo spettacolo, mettendo in relazione e mescolando la nostra cultura a quella africana, è la sintesi del mio percorso e della mia ricerca artistica.”
Lo spettacolo dopo Roma, sarà al Teatro Nazionale di Algeri , in Algeria, e al Festival di Teatro di Cartagine , in Tunisia.
Teatro Palazzo Santa Chiara . Piazza Santa Chiara 14, Roma, ( zona Pantheon)
prenotazioni e informazioni
Festad’Africa al teatro Valle occupato, racconta attraverso la testimonianza di Engi, cantante del gruppo Karizma Music Band, ospite della X edizione del festival, la rivoluzione egiziana del 25 gennaio al Cairo in Piazza Al Tahrir. In prima persona, Engi , parla della sua esperienza nei 18 giorni della rivoluzione, dall’occupazione della piazza alla cacciata di Mubarak. Il racconto è accompagnato da immagini inedite di Piazza Al Tahrir e della proiezione di un video sulla rivoluzione. Dopo un minuto di silenzio in memoria dei caduti per la libertà d’Egitto, il gruppo nubiano dei Karizma regala al pubblico, un brano del suo repertorio , Ryah Nubia ( il vento della Nubia), scritto appositamente in occasione della loro partecipazione a Festad’Africa Festival 2011.